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Protagonisti e artisti

Domenichino Zamberletti: una breve vita piena di significato

Domenico Zamberletti – noto come Domenichino – è una figura tanto poco nota, quanto affascinante di uno di quei giovani testimoni della fede nel nostro tempo, alcuni dei quali servi di Dio, altri già proclamati venerabili, beati o santi, che dopo mesi o anni di testimonianza e preghiera nella sofferenza, con il loro passaggio alla “casa del Padre” hanno lasciato un segno indelebile. Un segno e un messaggio che per prime le comunità parrocchiali e civili, le associazioni e i movimenti, gli stessi genitori, parenti e amici hanno provveduto a conservare e trasmettere perché divenissero patrimonio della Chiesa nella sua universalità e uno spunto per adolescenti e giovani per meglio vivere questa fase della vita così bella e affascinante, ma altrettanto ricca di insidie. Per citare solo due di questi giovani testimoni, limitandoci agli anni più recenti, non possiamo non ricordare – senza far torto ad altri − il servo di Dio Silvio Dissegna (1967-1979), morto a solo dodici anni, e la beata Chiara “Luce” Badano (1971-1990) che spirò pochi giorni prima di compiere diciannove anni salutando la mamma con queste parole: «Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!».

domenichino

Domenichino Zamberletti

Domenico nacque il 24 agosto 1936, ultimo di tre fratelli – fra cui il noto politico democristiano, onorevole e più volte ministro Giuseppe Zamberletti (nato nel 1933), riconosciuto come il padre fondatore della moderna Protezione civile italiana − all’ombra del Santuario dell’Assunta al Sacro Monte di Varese, riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Unesco insieme ad altri sette sacri monti del Piemonte e uno della Lombardia. I suoi genitori, proprietari e gestori dell’Albergo Camponovo presso il Sacro Monte, trasmisero ai figli sentimenti umani e cristiani, che il piccolo Domenico recepì già in tenera età, quando desiderò che la cucina dell’albergo preparasse quotidianamente un piatto in più per il “Cristo affamato”, cioè qualche povero che inevitabilmente si presentava all’albergo bisognoso di cibo. Pur essendo il “padroncino”, aiutava personalmente i dipendenti e gli inservienti e li trattava come fratelli, ma − soprattutto − la preghiera lo attraeva moltissimo.

Domenichino amava la musica e, ancora piccolo, iniziò a suonare esercitandosi sul pianoforte dell’albergo, improvvisando delicate melodie, cosicché a nove anni divenne organista ufficiale del Santuario. Seguendo il consiglio del padre, prese a suonare senza spartito durante la consacrazione eucaristica, lasciando spazio al cuore di suonare ciò che sentiva. Si racconta, a questo proposito, che una volta una signora, commossa dalla melodia inedita, ne chiese lo spartito al piccolo organista. Ma questi rispose: «Mah… non ce l’ho! La musica mi è sgorgata dal cuore, ma io non ricordo nemmeno una nota».

Altra sua grande passione era servire messa come chierichetto e, data la sua personalità e le sue doti, divenne capo dei chierichetti del Santuario del Sacro Monte. A questo proposito, si racconta un episodio divertente: i ragazzi residenti presso il Sacro Monte, guidati da Domenichino, erano orgogliosi di prestare il proprio servizio ogni volta che giungeva un pellegrinaggio. Tuttavia un giorno, giunti in sacrestia, la trovarono già affollata di chierichetti di un grande pellegrinaggio cittadino. Domenichino tentò di ribadire il fatto che era compito dei chierichetti del Sacro Monte servire messa, ma il gruppo dei cittadini non voleva ascoltare ragioni in proposito. Domenichino, dunque, cercò di conquistarsi la loro simpatia invitandoli a visitare la cella campanaria. Mentre i chierichetti “concorrenti” erano intenti ad ammirare il congegno, Domenichino sgattaiolò fuori dalla cella campanaria, tirandosi dietro la porta e dando un giro di chiave. I chierichetti del Sacro Monte poterono così servire messa indisturbati.

domenichino chirichetto

Domenichino chierichetto

Durante le funzioni liturgiche, Domenichino appariva interiormente assorto e chi gli stava vicino ben presto poté capire che l’Eucaristia era il centro della sua vita. Infatti, si preparò con grande fervore e intensità alla Prima Comunione. Di lui sorprendeva particolarmente il tempo che dedicava al ringraziamento dopo la comunione.

Terminata la quinta elementare, Domenichino si iscrisse a Varese come esterno nel collegio dei Salesiani per frequentare – dall’ottobre 1947 − la scuola media. Espresse anche il desiderio di diventare sacerdote, se quella fosse stata la volontà di Dio. Era ammirato, stimato e rispettato dai compagni, nonché noto per la sua simpatia e per l’ottimo andamento scolastico. Spesso, durante l’intervallo, si assentava dal cortile, solo o con qualche amico, per recarsi in cappella a far visita a Gesù. In questa cappella, diventò spiritualmente “amico” dei “grandi personaggi” della tradizione salesiana, pregando davanti alle loro immagini: la Madonna Ausiliatrice, san Giovanni Bosco (1815-1888) e san Domenico Savio (1842-1857). Rispettava e pregava per i superiori e, spesso,  tornando da scuola, ancor prima di recarsi a casa andava ad inginocchiarsi davanti alla sua Madonna del Monte, pregando per le loro intenzioni. Gli stessi superiori testimoniarono che il fanciullo era costantemente alla ricerca della volontà di Dio e la sua unica e vera preoccupazione era quella di piacere realmente a Gesù. Intelligente, sveglio, curioso, con la guida del suo confessore, con la preghiera, la mortificazione e il compiere gioiosamente i propri doveri, riuscì a raggiungere mete spirituali elevatissime.

Ai primi di gennaio del 1949, Domenichino ebbe ripetuti malesseri, dolori alle ossa e febbre alta che lo costrinsero più volte a lasciare la scuola per sottoporsi a esami e cure mediche. Lui stesso raccontò: «Ero in Chiesa; il Rosario era terminato e si era già alla Benedizione, quando sentii come un brivido attraversarmi le ossa; mi sentii spossato, mi si annebbiò la vista e fui costretto a sedermi. Pian piano il malessere passò e poi tranquillamente potei recarmi a casa, dove raccontai il fatto alla mamma. Ella mi provò la febbre e la trovò altissima. Volle chiamare il medico, che mi mandò per i raggi con quelle relative cure che non accennano mai a finire». Si succedettero visite, esami, tentativi di cura e consulti medici − nel dicembre 1949 fu portato alla Columbus di Milano, clinica ritenuta all’avanguardia −,ma nessuno riuscì a diagnosticare esattamente la malattia, finché non si giunse a un tragico verdetto: si trattava di una forma molto rara di leucemia, di fatto ancora inguaribile a quell’epoca. Domenichino offrì le sue grandi sofferenze per il Papa, il clero, i malati, i fanciulli poveri e gli educatori. Ma la sua sofferenza ebbe anche tratti mistici: infatti, come dettaglia Michele Aramini (cfr. Domenichino Zamberletti, Elledici – Velar, Leumann [Torino] – Gorle [Bergamo] 2009), nel periodo della malattia, il venerdì il fanciullo soffriva in maniera particolarmente intensa. Particolarmente carico di sofferenze fu il Venerdì Santo del 1950, l’ultimo della vita di Domenichino, sino a giungere alle tre del pomeriggio, quando il respiro e il battito del cuore diventarono pressoché impercettibili e il ragazzo rimase quasi come morto sino alla mattina di Pasqua. Quando si risvegliò, rifiutò però il parallelo tra se stesso e Gesù, fatto dal padre, dicendo: «Gesù ha sofferto immensamente più di me». Il suo spirito fu sempre vigile nell’affrontare la sofferenza: i vari biografi gli attribuiscono – sulla scia delle testimonianze in particolare dei genitori – varie espressioni significative: «So che non guarirò, il Paradiso è assicurato»; «Non voglio essere incosciente quando muoio… è Domenico Savio che mi viene incontro»; «Mamma, quando non ci sarò più, va a trovare i bambini che soffrono negli ospedali, va a nome mio. Hanno tanto bisogno di conforto»; «Mi sarebbe piaciuto tanto aver potuto tenere Gesù nelle mie mani, ma si vede che devo essere sacerdote in Paradiso»; «Mamma ho chiesto alla Mamma Celeste di venirti a consolare», e coì via.

Verso la fine di maggio del 1950 – in cui ricorreva peraltro l’Anno Santo indetto da Pio XII (Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, nel 1876 e Papa dal 1939 al 1958) − la malattia di Domenichino, che pure aveva lasciato talora qualche barlume di speranza, peggiorò decisamente. A mezzogiorno del 29 maggio cominciò la crisi decisiva e dovette essere aiutato a respirare con l’ossigeno, fra enormi dolori. Verso le sedici, sfinito ma pur sempre presente e lucido, nell’attimo in cui subentrò un momentaneo stato di benessere fisico, rivolto alla mamma Domenichino disse le sue ultime parole terrene:  «Oh, mamma, come sto bene adesso. Stai qui vicina; vado in Paradiso». Preso poi tra le mani il viso della mamma e guardandola teneramente, baciandola, spirò all’età di tredici anni e nove mesi con un grido gioioso: «Mamma mi viene incontro la Madonna!».

La sua tomba si trova presso il piccolo cimitero di Santa Maria del Monte ed è, negli anni, visitata da tanti fedeli. In particolare, i bambini sono soliti portare un piccolo gioco da lasciare a Domenichino (automobiline, pupazzetti….), così che la sua tomba oggi ne risulta colma.

Il fanciullo del Sacro Monte  è considerato il “patrono” dei chierichetti, infatti vari articoli su di lui sono comparsi su la Fiaccolina, organo ufficiale del Movimento Chierichetti dell’Arcidiocesi di Milano; a lui è stato intitolato il coro dei Pueri Cantores di Macerata ed altre iniziative in vari luoghi d’Italia sono state portate avanti in sua memoria. Nel 2010 è stato sceneggiato inoltre il testo teatrale Transite ad me…, sulla sua sulla figura, scritto da Angela Demattè, per la regia di Andrea Chiodi. Negli anni gli sono inoltre state dedicate diverse monografie e articoli.

Per la sua grande statura spirituale − che di fatto contrasta con i pochissimi anni della sua vita terrena − la figura di Domenichino non deve né può essere relegata a una devozione prettamente locale − sorte che pare segnare questi ultimi anni −, né  tanto meno merita di cadere nell’oblio. Al contrario, meriterebbe di essere meglio valorizzata e resa nota.

tomba domenichino

La tomba di Domenichino presso il cimitero del Sacro Monte sopra Varese

In effetti, sussiste un piccolo giallo a proposito del processo canonico di beatificazione del giovanissimo servo di Dio (unico “titolo” che al momento è riconosciuto a Domenichino, essendosi appunto bloccato il processo di beatificazione), che si ritiene essere stato svelato da don Angelo Corno, arciprete del Sacro Monte, in occasione della presentazione della ristampa della biografia Domenichino Zamberletti, un chierichetto di Dio al Sacro Monte di Varese di Maricilla Piovanelli (Macchione, Varese; pubblicato in prima edizione, cui ne sono seguite varie altre, oltre a diverse ristampe, già nel 1950:Domenichino, Istituto Propaganda Libraria, Monza), avvenuta presso il Museo Baroffio sabato 29 novembre 2008. In quella occasione, l’arciprete ha affermato: «Non c’è una verità ufficiale ma, esaminando gli avvenimenti, mi sono fatto un’idea. A bloccare la causa fu il cardinale di Milano, Giovanni Colombo [1902-1992]. I genitori del Domenichino si erano rivolti a lui pregandolo d’intervenire. Si erano pentiti di aver autorizzato un sacerdote siciliano a portare via gli effetti personali del figliolo, in cambio dell’impegno a promuovere il processo di beatificazione. Temevano che il sacerdote li privasse d’ogni reliquia e il cardinale si decise a scrivere la lettera che fermò la causa. […] Da quando sono arrivato al Sacro Monte – spiega don Angelo – ho ricevuto molte lettere che parlano di grazie ricevute per intercessione del Domenichino. In Curia a Milano ci sono ancora i due fascicoli con notizie di fatti inspiegabili e “miracolosi” che giustificarono a suo tempo l’apertura del fascicolo. Per questi motivi ho deciso di ristampare il libro sul piccolo organista-chierichetto».

Lo stesso don Angelo, nell’ottobre 2012, ha dichiarato a un quotidiano locale: «La devozione popolare è molto forte, da qui la mia idea di riaprire il processo di beatificazione […] Ad Acireale, c’è infatti un villaggio del fanciullo dedicato proprio a Domenichino» e, ancora: «Le lettere di grazia ricevuta provengono principalmente dalla Sicilia a parlano di fatti inspiegabili e miracolosi, tra cui guarigioni da malformazioni e risoluzioni di complicate questioni di famiglia» (Varese vuole il bimbo beato. Ma per la Sicilia è già “santo”, inLa Provincia di Varese, 18 ottobre 2012; cfr. anche – sul medesimo quotidiano − Domenichino «dei miracoli». Varese vuole il bimbo beato, 17 ottobre 2012 e «Domenichino mi ha salvato e poi è rimasto sempre con me», 20 ottobre 2012).

Ci auguriamo pertanto che Domenichino possa giustamente essere meglio valorizzato e riscoperto quale esempio di fede e di virtù, soprattutto a favore dei fanciulli e dei giovani del nostro tempo.

Andrea Menegotto

(tratto da "Il Quintuplo)

 

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