CHE EFFETTO FA ESSERE EDUCATI DA UN BEATO
di felice magnani
Non capita tutti i giorni di incontrare sul tuo cammino una persona che entrerà un giorno a far parte del mondo dei Beati, una schiera ristretta designata dalla mano ferma dello Spirito Santo. Ci sono però dei segnali che al momento possono apparire incomprensibili, ma che si rivelano per quello che realmente sono con il passare degli anni, quando leggendo e pensando di quella persona ti rendi conto che non era uguale alle altre anzi, aveva qualcosa di molto particolare che la rendeva diversa, particolare e unica. Noi giovani eravamo troppo impegnati nello studio e nel gioco per capire bene fino in fondo quella tipologia umana che si presentava davanti ai nostri occhi, lasciandoci spesso in un stato di naturale stupore. La compostezza, il sorriso, la temperanza, la semplicità, quel rispetto così composito e riverente, quella dolcezza quasi materna che ne alimentava la presenza, si contrapponevano alla nostra esuberanza, fino al punto di ammantarla di sfida o di ilarità o perfino di sarcasmo, era in qualche caso veramente difficile far collimare la virtù con l’ingenuità, la saggezza con l’irrequietezza, la missione con una spasmodica ricerca di verità. Non è sempre facile o scontato capire bene chi hai di fronte, giudicare, credere di sapere. Il professor Giuseppe Berti era per noi quella persona troppo lontana per essere inclusa nella norma di un’adolescenza inquieta, fatta di controversie interiori, di assolutismi, di incongruenze, di sopravvalutazioni e di identificazioni, di incredibili ricerche interiori e di complicati processi d’ investigazione e d’ identificazione. Il professore era quella parte di noi che rifiutava l’omologazione, la sottomissione, anche solo l’idea che l’energia dovesse o potesse soccombere al contatto con un mondo avvolto nei silenzi profondi della preghiera, della contemplazione, dell’ascesi mistica. Lo abbiamo accolto e lo abbiamo ascoltato, lo abbiamo rispettato e abbiamo cercato di capire quella sua capacità di essere contemporaneamente con il mondo e con quella sua intensa ricerca di divina umanità, raccolto tra le penombre pensanti di un confessionale. Per tutti è stato come una luce che illumina, lasciando allo spirito la libertà di credere e di pensare a seconda della predisposizione e della correlazione. Di lui conoscevamo solo la parte visibile dell’incontro educativo, quella per certi aspetti più difficile da accettare e da imporre, quella che si profila ammantata di zelo o di troppa saggezza per poter essere decodificata, capita e fatta propria al momento. Di solito la verità si fa largo quando lo spirito è pronto a fermarsi e a pensare, a ripercorrere con la giusta concentrazione il tempo dell’inquietudine e quello della crescita. E’ allora che tutto si ricompone e prende forma, evitando la dispersione dell’eccesso e dell’esagerazione. Nessuno ha mai saputo chi realmente fosse quel professore così visibilmente innamorato di Dio. Nessuno avrebbe mai immaginato che in quello spirito ci fosse la sintesi di una storia straordinaria, vissuta con la generosa fermezza di chi crede non solo per studio o ricerca, ma per quella straordinaria vocazione all’identità che include parimenti pensiero e azione e una vocazione naturale non facile da individuare. Chi lo ha frequentato come professore di filosofia come il sottoscritto, anche solo per ricevere un supporto cautelativo a un’ inadeguata preparazione scolastica, si è trovato di fronte un professore autentico, generoso, capace di trasformare la complessità del concetto in una chiara e fiduciosa apertura mentale. Di quelle lezioni, vissute nel suo studio arredato con francescana leggerezza, ricordo la capacità del professore di saper ridurre l’idea a qualcosa di umanamente appetibile, sbriciolando l’intensità filosofica in utili insegnamenti di vita quotidiana. Oggi a distanza di tempo, rileggendo uno degli speciali de Il Nuovo Giornale, intitolato Giuseppe Berti, di Letizia Capezzali, mi rendo conto ancora meglio di quella personalità con la quale sono venuto a contatto in un particolare momento della mia vita, quando anch’io come tanti avevo bisogno di qualcuno che aprisse con più energia lo scrigno della conoscenza, appeso al freddo nozionismo di qualche professore poco attento a far collimare la conoscenza con la vita, il pensiero con l’azione, la verità con la realtà. C’è un passaggio dell’autrice che mi fa riflettere, là dove scrive: “Berti, consapevole del fatto che il pensiero filosofico quando riflette sull’uomo nella sua autenticità diventa inevitabilmente trampolino di lancio per la fede, utilizzava questo strumento per formare coscienze cristiane”. Mi colpisce molto anche: “Infatti, concetti come l’attenzione allo sviluppo della persona più che al profitto in senso stretto, l’idea che fosse il professore a doversi adeguare metodologicamente alla classe e non viceversa, la centralità della persona considerata in tutti i suoi aspetti e non solo quelli cognitivi, non vennero compresi dai contemporanei del professore”. L’immagine di un professore che sappia appoggiarsi allo spirito e ascoltarlo, che sappia mettersi in contatto con l’animo umano per offrirgli la possibilità di vivere più intensamente la propria identità in rapporto con quella che gli gira intorno è davvero un fatto straordinariamente bello e solidale. E’ proprio questa filosofia dal volto umano del professore, che faceva breccia nel cuore delle giovani generazioni, staccandosi via via dalla presunzione aristocratica del sapere, per entrare in quella più autenticamente democratica della vita comune. Il Beato Giuseppe Berti è stato l’uomo della Resistenza piacentina, il deputato democristiano che si esercitava nella donazione alla vita comunitaria, per dare un significato più vero alla conoscenza, più capace di rendere umana la società delle persone. Mi colpisce il racconto di Letizia Capezzali, anche là dove scrive: “Racconta il vescovo Manfredini, che nel 1969 era subentrato nella diocesi a Malchiodi, anziano e malato: “Berti ha sempre avuto un profondo senso di rispetto per la gerarchia. Io, spesso, sono stato confortato da Berti! /…/ Con umiltà, con calore, con affetto filiale, nonostante la differenza d’età, mi ha rincuorato, mi ha sostenuto, mi ha dato forza. E benché uno dei miei predecessori – in un periodo difficile, quando egli aveva dovuto anche subire le vessazioni fisiche del regime al potere – non avesse tenuto la linea più opportuna, egli me lo ha sempre difeso!”. Oggi a distanza di tempo, rileggendo alcuni passaggi della sua vita, avendolo conosciuto da vicino, mi rendo conto di essere stato un fortunato e soprattutto capisco quanto sia difficile essere sempre attenti e coerenti con quella fede che abbiamo accolto e abbracciato nella nostra giovinezza, grazie alla generosa fede di una madre, di un padre, di un sacerdote o di un santo che ha sfiorato la nostra incompiutezza. Il professor Berti è stato un raro esempio di coerenza cristiana e di obbedienza, un innamorato delle virtù civili e religiose che hanno riempito di umanità la storia del primo novecento nella città, nella provincia piacentina, nella nostra nazione. Ha saputo difendere la forza e la bellezza della religiosità del vangelo in uno dei momenti più complessi e delicati della nostra storia, come soldato, come deputato, come professore, come persona attenta ai bisogni e alle necessità dello spirito umano. Non ha mai approfittato della sua condizione, ha sempre cercato di mettersi al servizio delle necessità umane con la convinzione di chi sa qual è la ragione di tanta disponibilità e generosità.