I PARTITI E LA POLITICA SONO IN CRISI
di felice magnani
L’autocritica dovrebbe essere all’ordine del giorno. Sapersi guardare, osservare, valutarsi, applicare a se stessi la stessa intransigenza che spesso applichiamo agli altri dovrebbe essere prassi comune, per capire meglio chi siamo e se quello che facciamo abbia un senso, sia ancora un valore. La crisi interviene quando nelle istituzioni, anche in quelle più comuni, non c’è ricambio, non c’è innovazione, quando all’interesse collettivo subentra quello di natura personale, quando viene a mancare la cultura, quella che alimenta la conoscenza, la conversazione, la dialettica, la visione, quella che carica una natura a tratti troppo materialistica di contenuti umani. I partiti sono in crisi perché non si sono aperti, non hanno colto il senso di una natura democratica che permetta al cittadino di avere un raggio d’azione e di visione delle cose molto più ampio, capace di sollecitare, aiutare, suggerire, consigliare. In molti casi i partiti si sono trasformati in circoli chiusi, in manipoli, fazioni, lobby, famiglie, hanno sviluppato una serie incredibile di vocazioni al dominio, all’assolutezza del comando, all’idea che la verità stia in quei pochi che la professano. I garanti della democrazia sono spesso diventati antidemocratici, hanno abiurato la loro condizione iniziale, si sono dimenticati di chi erano e del perché si sono messi in campo, hanno seguito strade legate più all’interesse personale che non ai bisogni e alle necessità del popolo, si sono confusi tra la gente invece di stare accanto alla gente, si sono disinteressati della vita comune, di quella che ci accompagna quotidianamente per rendere un pochino più sicura la nostra vita quotidiana, quella che ha bisogno di lavoro, unità, sicurezza, legalità, rispetto. Dunque i partiti sono in crisi perché hanno perso il contatto con la gente che li vota, perché non hanno più idee, non hanno più stile, parlano e non mantengono, sono schiavi di due padroni, si sono dimenticati di cosa significhi essere democratici, difendere la democrazia, non hanno la percezione di quanto sia difficile avere una famiglia e non avere i mezzi per poterla mantenere, di essere diventati poveri e di non riuscire più a ricucire una speranza. In molti casi la politica urla e sbraita, affida i propri sogni ad attori e attrici che ripetono parti obsolete, vecchie, che nulla hanno a che fare con le esigenze di una comunità nazionale e mondiale alle prese con le proprie trasformazioni. Invece di generare ottimismo, coraggio e buona volontà irradia paure, timori, come se la vita invece di essere un preziosissimo dono destinato a moltiplicarsi, dovesse finire da un momento all’altro. I partiti sono in crisi perché privi di una vocazione propria, di una visione e di una missione. Usciti di campo i partiti tradizionali, legittimati da una forte volontà popolare, ci siamo addentrati in costruzioni messe in opera in officine private, dove la volontà del leader e di pochissimi diventa dominante e dove pur di essere amati e protetti si è pronti a tutto. La funzione dei partiti si è andata declassando, ha perso di autorità morale, è vittima di formalismi assurdi, non riesce a cogliere la bellezza di una democrazia che mai come in questo momento storico sente il bisogno di sentirsi accanto tutte quelle istituzioni che in tempi diversi l’hanno aiutata a essere quella che è stata, apprezzata e stimata nel mondo. La politica ha bisogno di rigenerasi, ma deve uscire dalla sfera individuale e rientrare in quella collettiva, dove si conservano i diritti e i doveri e dove l’unione diventa il collante di una volontà affrancata dai poteri forti, deve soprattutto ritrovare il senso della sua missione, la ragione della sua essenza, deve ritornare a essere al servizio dei cittadini e della nazione. Il buon politico è un ricercatore che non si perde mai d’animo, che sa scrutare e capire il mondo dei suoi simili, che si dedica anima e corpo alle persone che lo hanno eletto. Forse bisognerebbe insegnare la politica fin dalle scuole elementari, aggiornandola ogni volta a seconda dell’età, bisognerebbe allenare il mondo giovanile a condividerla e a viverla mettendola in pratica. Politici non ci si inventa, si diventa lavorando sodo, vivendo esperienze, studiando e allargando la propria cultura, imparando a stare con la gente e a condividerne sogni e speranze. Il buon politico non può e non deve vivere nei salotti mondani o ritenersi rappresentante di una élite raggomitolata nelle proprie convinzioni, non può e non deve diventare simbolo di un potere perenne, ma deve agire con amore e preparazione, mettendo sempre al centro di tutto l’uomo, la donna, la società civile, lo stato, il benessere, i bisogni e le necessità della gente. Molto spesso manca la capacità di generare sicurezza, di trasmettere fiducia, di sollevare l’animo comune, quello che vuole sentirsi capito, aiutato, condiviso e protetto. Manca la capacità di superare le normali diatribe, i muri contro muri, gli antagonismi, manca la volontà di capire che la vita è fatta soprattutto di comprensione, di buona volontà, di saggezza, di gente che vuole risolvere i problemi con la collaborazione di tutti, senza generare conflitti che destabilizzano la realtà e la rendono ancora più precaria di quanto già non sia.