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L’ORATORIO NON E’ UN’ARENA

di felice magnani

Chi molti anni fa è passato attraverso l’Oratorio lo ricorda con una certa nostalgia, perché in quel luogo ha avuto la fortuna di vivere momenti gioiosi, fatti di partite a calciobalilla, a ping pong, di grandi chiacchierate e di incontri educativi. L’Oratorio non è mai stato un perimetro chiuso, anche perché in alcuni casi era piccolo, stretto, non aveva grandi spazi per le partite di calcio, bisognava inventarlo e così diventava Oratorio anche un campo sperduto tra gli spazi verdi di una città in crescita. Non per questo era avvilente, non per questo mancavano la passione e l’entusiasmo, non per questo ci si sentiva liberi al punto di trasformare gl’ incontri sportivi pomeridiani in un inferno di versacci, urli, parolacce, bestemmie e altro. L’importante era fare bella figura, soprattutto con quegli adulti che molto spesso, per non dire quasi sempre, valorizzavano il tempo libero, condividendolo con noi. I preti alimentavano la nostra energia, facevano in modo che ci si arricchisse di nuove opportunità, c’erano sempre, soprattutto quando si trattava di ricordare a qualche smemorato che l’Oratorio non era un’arena, ma un luogo molto caro a Gesù, dov’era possibile vivere e crescere in modo semplice, ma sano e rispettoso della vita. All’Oratorio si potevano fare molte cose, ma il punto era che quelle cose andavano fatte bene, con rispetto, l’insegnamento in questo senso era molto attivo e molto concreto, basato anche sulla meritocrazia, sulla capacità di offrire il massimo per dare un senso compiuto alla propria esistenza e a quella del prossimo. Chi non si comportava bene ne subiva le conseguenze e nessuno, dico nessuno, si sarebbe permesso di mettere in discussione o in dubbio l’intervento educativo di un sacerdote. L’educazione civica e quella religiosa andavano di pari passo, l’una era di supporto all’altra e insieme riempivano il cuore e la mente dei giovani, anche di quelli meno avvezzi alle regole. L’Oratorio era anche un piccolo centro studi, chi aveva problemi scolastici, trovava l’attenzione giusta per imparare quello che non aveva capito a scuola, c’era sempre infatti qualche studente universitario con un po’ di tempo libero da dedicare ai bisognosi. All’Oratorio ci si divertiva e si imparava a stare al mondo. Ho parlato con campioni del gioco del calcio che hanno imparato la loro lezione rispettando le indicazioni di allenatori veri o improvvisati che dedicavano il loro tempo libero all’educazione sportiva, in quello spazio la visione dominante era quella di chi doveva dare l’esempio, di chi aveva le redini dalla propria parte. L’impronta educativa arrivava sempre dal sacerdote di turno, da come sapeva impostare la vita oratoriale, dal significato che sapeva fornire e dalla convinzione con cui insegnava le sue regole. Chi stava all’Oratorio non poteva fare quello che voleva, doveva avere ben chiare in mente le regole fondamentali, quelle che poi sarebbero diventate importanti anche nella vita pubblica, fuori dall’ambiente religioso. La tentazione di evadere, di provocare disagio, di andare controcorrente erano presenti sul campo, ma non trovavano spazi sufficienti per fare proseliti o per emergere, la visione generale era molto chiara, fuori da quella c’era l’allontanamento, motivato ai genitori. Non c’era la paura di perdere adepti, la selezione era del tutto naturale, in fondo accettare le regole era di fondamentale importanza per far crescere una generazione capace di continuare una tradizione educativa applicata alla vita democratica. Dunque alla base di tutto c’era l’autorevolezza di chi doveva gestire, la capacità di saper tradurre in un normale sistema di vita lo stare insieme, condividendo un fondamentale tempo di crescita. Il sacerdote era molto presente e quando non lo era lui per cause di forza maggiore, al suo posto c’erano i suoi adulti, quelli allevati molto tempo prima  con l’idea che la vita fosse una cosa seria, da vivere con il massimo della cura e dell’attenzione. Nelle partite di calcio o nelle corse in bicicletta gli adulti c’erano sempre, c’erano in una forma mai sguaiata o troppo euforica, con la convinzione fraterna e paterna che anche il gioco fosse un grande momento di crescita umana, religiosa e civile. C’era un diffuso senso d’ilarità, i grandi sapevano sorprendere con quello spirito arguto e intelligente che te li faceva apprezzare. Quando giocavi con loro ce la mettevi tutta per far emergere le doti più belle, per non deludere chi ti aiutava a crescere meglio la vita nelle sue diverse sfaccettature. Oggi come vanno le cose? A volte bene, altre benissimo, ma ci sono casi in cui l’Oratorio diventa sempre più simile a un rifugio in cui trovano ospitalità coloro che intendono fare tutto quello che vogliono, in barba a quelle regole che sono prima di tutto civili, prima ancora che religiose. Sembra persino, in certi casi, che conti più la quantità rispetto alla qualità, che aprire sia sempre sinonimo di liberalità, di generosità, di apertura morale. Nella vita non è sempre così, se non rispetti determinate regole ne resti fuori, entri in una sorta di antagonismo atavico da cui riesce poi molto difficile uscire per ricominciare. Sviluppare un’idea chiara del bene e del male, significa far crescere i ragazzi e le ragazze con qualche valore in più a cui appellarsi, nel caso in cui la vita stessa dovesse voltare le spalle. Dunque bisogna amare l’Oratorio, sapendo che al verbo amare si collegano altri verbi molto importanti, che ne suggellano la forza e la bellezza, come rispettare, collaborare, credere, avere fede nelle cose belle della vita. L’Oratorio va attrezzato e gli attrezzi migliori sono le regole che ne determinano la vivibilità, come ad esempio un confronto diretto sulle cose da fare e sul come farle, nell’impegno che i ragazzi che lo frequentano sono in grado di adottare e di portare avanti con i propri educatori. Dunque ogni spazio educativo, strada compresa, dovrebbe incontrare una strategia  e una progettualità nella quale far confluire il senso della vita. Se un gruppo di ragazzini vive tutti i pomeriggi per strada urlando, disturbando chi sta lavorando o chi sta riposando o chi si appresta a gestire la sua sofferenza, se anche l’Oratorio diventa un luogo di dispersione, vuol dire che le agenzie educative tutte devono fare un profondo esame di coscienza, perché la vita non può essere gettata in una sorta di vuoto cosmico, dove le energie si bruciano in un drammatico non senso. Forse è arrivato il momento in cui chi ha responsabilità sulla gestione educativa dei giovani trovi soluzioni adeguate, si renda conto che una vita senza senso non aiuta a diventare grandi e a conquistare quella giusta dignità che la nostra meravigliosa Costituzione ci suggerisce. 

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